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A metà del lato est del chiostro si apre l’ingresso alla Sala Capitolare, arricchito da un portale gotico del secondo quarto del Trecento, affiancato da splendidi finestroni a quadrifora e sovrastato da una lunetta ad arco ribassato. In quest’ ultima si riconoscono i residui, frammentari ma riconoscibili (e recentemente restaurati), di un affresco attribuibile ad un ignoto di stretta osservanza giottesca verso il 1340, raffigurante S. Francesco che dà la regola ai Minori e alle Clarisse, staccato anni orsono e conservato all’interno del Museo dell’Opera;e curioso osservare come questo affresco trecentesco fu il modello per la già ricordata tavola di Colantonio col medesimo soggetto, facente parte del polittico per la famiglia Rocco pure un tempo a San Lorenzo, ora al Museo di Capodimonte.
L’ambiente della Sala Capitolare è alto 7,50 metri, largo 16,30 e profondo 12,80. Conserva la struttura gotica, con sei volte a crociera sorrette da due antiche colonne di spoglio in granito; in ciò ricorda la Sala Capitolare di Sant’Agostino alla Zecca a Napoli, di poco precedente. Vi sono affrescate decorazioni a grottesche, allegoriche, figure di Sand e di Villa, con al centro una piccola Immacolata e sotto la data 1608; sulle parti invece sono dipinti Fatti storici dell’Ordine, allegorie e numerosi ritratti di personaggi francescani di rilievo, entro ovali. Ne fu autore quasi certamente Luigi Rodriguez.
Con l’avvento di Carlo I d’Angiò e quindi della dinastia Francese, Napoli divenne capitale del Regno delle due Sicilie. Considerando che la città fu lasciata in un lungo stato di abbandono, dai Normanni prima e gli Svevi poi, è chiaro che tale evento storico fu la premessa per una rinascita urbana ed amministrativa per Napoli, con una conseguente rinascita anche culturale ed artistica.
La Basilica di San Lorenzo fu la prima chiesa ad essere ricostruita secondo l’inconfondibile stile gotico francese, introdotto dagli architetti e dalle maestranze a seguito di Carlo I.
La pianta attuale della Basilica, costruita secondo le esigenze dello spirito francescano, si presenta con una sola grande navata centrale, Abside e 23 cappelle laterali.
L’Abside, tra le più audaci e di concezione gotica che si trovi in Italia, ha uno spazio che si sviluppa secondo lo stile gotico francese, non solo per la planimetria circolare con deambulatorio e cappelle radiali, ma anche per le volte a crociera costolonate su archi ogivali, per i pilastri polistili, per gli archi rampanti e per i contafforti.
Tra le cappelle di tutta la basilica, vi è quella dedicata alla Madonna degli Angeli, la quale presenta affreschi realizzati nel 1333-1334 da Antonio Cavarretto, discepolo si Giotto, dedicati alla vita della Vergine.
Il Transetto invece presenta al suo centro l’altare maggiore in marmo, eseguito nel 1500 dallo scultore Giovanni Merliano da Nola, ponendo al centro dello stesso la statua di San Lorenzo, il martire a cui è dedicata la chiesa, a destra San Francesco ed a Sinistra Sant’Antonio.
Sotto la statua di San Lorenzo è scolpito, con fine realismo, il suo martirio. Sotto San Francesco il miracolo del lupo di Gubbio ammansito, e sotto Sant’Antonio il miracolo dei pesci che ascoltano la sua parola.
Costituito da una grandiosa sala rettangolare, lunga 43,60 mt e larga 9,80 mt, si accede ad un elegante vestibolo di epoca sveva che, secondo il Celano, una volta era affrescato come il chiostro. Nel 1972, sul lato sinistro vennero scoperte alcune trifore di chiaro stile svevo, simili ai tre grandi archi che nello stesso anno erano già stati portati alla luce sulla parete di divisione tra il chiostro ed il predetto vestibolo. Tutto ciò ha fatto pensare che sia questa sala che il vestibolo, furono costruiti dai frati minori prima della demolizione della chiesa paleocristiana.
Quando il complesso Francescano fu sottratto all’Ordine, questa sala fu destinata prima a mensa per le guardie municipali che alloggiavano nell’antico convento, poi a magazzino del teatro San Carlo: fu realizzato anche un ingresso, oggi esistente, dal sottostante vico Maiorani, attraverso un corridoio ed una scala che smonta quasi al centro della parete di destra.
Gli affreschi sulle pareti e sulle volte risalgono ai primi anni del 1600: furono eseguiti da Luigi Rodriguez, durante il regno di Filippo III, per incarico del viceré Ferdinando Ruiz di Castro ed Andrada.
La volta è divisa in sette scomparti, su ognuno dei quali sono dipinte a grandezza naturale cinque virtù; Più precisamente al centro di ogni scomparto è raffigurata una delle sette virtù principali (Clemenza, Provvidenza, Gravità, Magnificenza, Dignità Regia, Magnanimità, Affabilità), circondata da altre quattro virtù minori.
Nei semicerchi dei finti archi laterali corrispondente ad ogni scomparto, una volta si potevano ammirare vedute di Napoli e delle diverse provincie del Regno: oggi di esse è possibile ammirarne soltanto sei. Infine, la decorazione della sala è completata da stemmi, arabeschi ed allegorie. Soltanto la parte bassa delle pareti perimetrali, per un’altezza di 4 mt. dal pavimento, non venne ricoperta da affreschi: c’era l’usanza di rivestire queste porzioni di muri con arazzi e stoffe pregiate per aumentare la magnificenza del locale.
L’area archeologica, in cui sono visibili i resti dell’antico Foro di Neapolis, è il più rilevante sito archeologico presente nel centro storico di Napoli, sia per valore monumentale e topografico, sia per il suo inserimento all’interno del complesso angioino di San Lorenzo Maggiore.L’invaso irregolare di piazza San Gaetano è ciò che resta di un più vasto spazio aperto corrispondente al centro civile e religioso della città antica: quest’area è stata infatti da sempre riconosciuta come il Foro di età romana, coincidente a sua volta con l’agorà della città greca. Le indagini archeologiche hanno evidenziato che la sistemazione di epoca romana, databile al I secolo d.C., ricalcava un’organizzazione più antica. Già dal V secolo a.C., infatti, era stata disegnata al centro dell’abitato greco-romano una piazza che, sfruttando il pendio della collina, si era distribuita su due livelli, a monte ed a valle della plateia, poi decumanus maximus (strada principale), corrispondente all’attuale via Tribunali, con la necessaria edificazione di strutture murarie di contenimento e di una gradinata che collegava la zona inferiore, destinata alle attività commerciali, con la parte superiore, riservata a funzioni politiche.
Una vera e propria area archeologica si estende oggi a circa 10 metri di profondità, sotto la chiesa di San Lorenzo Maggiore. All’interno del chiostro settecentesco è visibile parte del macellum, il mercato romano, databile alla seconda metà del I secolo d.C.: esso era costituito da uno spazio porticato rettangolare, su cui si aprivano botteghe, e da un cortile interno scoperto e pavimentato a mosaico, al centro del quale era collocata una tholos, un edificio circolare destinato alla vendita degli alimenti. Sono però i livelli inferiori dello scavo a chiarire la complessa strutturazione dell’intera zona. All’età greca rimanda il tracciato di una strada, uno stenopos, poi definito cardo (cardine) di Neapolis, messo in luce al di sotto del transetto della chiesa, ricoperta da un lastricato del V secolo d.C.. L’antica via correva lungo il lato orientale di un articolato edificio romano che, distribuendosi su tre ali, fungeva anche da sostegno artificiale della terrazza sovrastante, sulla quale era posizionato poi il mercato, contribuendo nello stesso tempo a definire la porzione inferiore del Foro.
La costruzione si componeva di una serie di nove botteghe (tabernae), composte ciascuna di due stanze voltate a botte e aperte sulla strada, in cui si svolgevano attività commerciali e artigianali: vi si sono individuati un forno e vasche per la tintura dei tessuti. Alla fine del cardine, sulla destra, si giunge al criptoportico (mercato coperto), suddiviso in piccoli ambienti com uncinati e dotati di banconi in muratura per l’esposizione delle merci. Facevano eccezione solo tre di essi, che probabilmente costituivano l’erarium, dove era custodito il tesoro cittadino. Tale organizzazione rimase in luce fino agli ultimi anni del V secolo d.C., quando, colmata la zona da strati di natura alluvionale, si diede avvio alle successive trasformazioni culminate nel XIII secolo con la costruzione del convento e della basilica gotica, che comportarono la definitiva obliterazione di tutte le strutture precedenti.
Collegato all’area degli scavi è il Museo dell’Opera di San Lorenzo Maggiore, allestito negli ambienti cinquecenteschi intorno e nella Torre civica, che affianca la Basilica. In esso è presentato al pubblico un vero e proprio spaccato della storia di Napoli dall’età classica sino all’Ottocento. Nel suo allestimento scientifico, in senso cronologico ascendente nei vari livelli dell’edificio, si passa dai reperti archeologici di epoca greca a quelli di età romana, repubblica e imperiale; dalle testimonianze di epoca tardo-antica a quelle paleocristiane e poi bizantine; dall’alto Medioevo e dalle civiltà Sveva e Normanna sino all’età Angioina e Aragonese, per giungere infine alle sale che ospitano i pastori sette-ottocenteschi della prestigiosa collezione del convento.
Le opere sono inserite nei contesti originari per favorire la corretta e completa comprensione di quanto esposto, ricomponendo fisicamente gli spazi in cui erano collocati e ricercando le stesse condizioni di luce e prospettiva e le finalità stesse per cui erano state prodotte.
La peculiarità di questo museo evidenzia due aspetti intimamente correlati: uno specifico rapporto col territorio ed un’evidente connessione con il mondo religioso di riferimento.
Questo museo è, in primo luogo, in stretta connessione col territorio, nel quale svolge una particolare opera di promozione culturale, in quanto accoglie ciò che dalla città proviene per offrirlo nuovamente ai visitatori, attraverso la duplice funzione della testimonianza e della fruizione estetica. Oltre ad essere “luogo” perfettamente inserito nella storia del territorio, questo museo è anche “luogo religioso” almeno a due rilevanti titoli. In primo luogo testimonia la presenza della basilica paleocristiana del VI secolo, su cui le generazioni successive hanno edificato spazi di spiritualità e di culto, ed in cui la fede Cristiana risulta “acculturata” nelle opere degli artisti. Tutti possono ammirare affreschi, tavole, sculture, mosaici e quadri, che fanno riferimento a precisi testi e contesti, esplicitamente legati alla tradizione Cristiana.
All’interno di questa, poi, eccelle la particolare spiritualità Francescana, di indiscussa importanza storica, architettonica e culturale, che, in continuità col primo, “provvisorio”, insediamento dei seguaci di Francesco, hanno fatto nel corso dei secoli fino al presente, amalgama con la storia più vera e più autentica della città Partenopea e delle sue genti.
Il museo offre uno straordinario spaccato della storia di Napoli, che abbraccia un arco temporale di circa 25 secoli ed illustra le stratificazioni presenti all’interno del complesso monumentale, a partire dall’epoca greco-romana fino al XVIII secolo.
La Biblioteca “FRA LANDOLFO CARACCIOLO”
è stata istituita dai Frati Minori Conventuali al momento del loro ritorno nel convento nel 1937; in verità, le soppressioni degli enti monastici avvenute nei secoli XVIII e XIX avevano portato ad una dispersione del patrimonio librario ed archivistico conservato fino ad allora nel Complesso, recuperato solo in parte con il ritorno dei frati nel convento nel 1937.
La Pinacoteca del convento di Sant’Antonio, inaugurata nel 1995, conserva un prezioso insieme di opere, soprattutto cinquecentesche, che rappresentano una parte importante dell’intero patrimonio artistico dell’Agro Nocerino.
Nato nel 1964 nel quattrocentesco Convento francescano di S. Antonio, ospita i materiali provenienti per la maggior parte dagli scavi condotti sia nel centro urbano dell'antica Nuceria che nelle sue necropoli.
Le donazioni che seguirono possono essere interpretate come un risposta positiva alla politica culturale di avvicinamento del Museo ad un più vasto pubblico: nel 1993 Andrea Bove di Nocera Inferiore donò una collezione di terrecotte, unitamente a vasi di origine apula e materiali di età romana; nel 1995 la famiglia Buonocore di Nocera Superiore –nel cui fondo erano stati condotti scavi archeologici dalla Direzione dei Musei Provinciali di Salerno negli anni Sessanta- consentì con gioia al recupero di una stele antropomorfa e due urne in tufo nella sua proprietà; nel 1996 Alfonso Palladino di Nocera Inferiore donò una lastra con iscrizione greca di età imperiale, importante elemento di lettura della società nocerina nell’epoca indicata. L’attuale sistemazione è del 2005, con il recupero di ulteriori reperti emersi dallo “scavo dei vecchi scavi” nei depositi del Museo di Salerno.
La basilica e il convento costituiscono un raro esemplare di architettura gotica mantenuto nonostante le trasformazioni subite in sette secoli di vita.
Il prospetto attuale, diverso dall'originale duecentesco è di stile costituito da tre parti. A settentrione si eleva il corpo di fabbrica conventuale intorno al chiostro di forma quadrangolare. La parte centrale è caratterizzata dall'ampia scalinata che si raccorda con la chiesa mediante un portico rettangolare limitato, nella parte anteriore, da un arco rinascimentale, e nella parte posteriore dal portale gotico di ingresso nella chiesa. L'area a meridione è contraddistinta da un corpo di fabbrica costituito al livello della chiesa da un ampio corridoio di struttura gotica, dal quale si accede all'ala sinistra della chiesa, al cui fianco campeggiano su una serie di stanze costruite nel 1600.
Probabilmente il portico nel passato ebbe ampiezza maggiore terminando, come risulta da alcuni documenti, su un ampio loggiato lungo il lato sud dell'edificio.
L'accesso della Chiesa fino al XVIII secolo avveniva attraverso una rampa di pietra calcarea che partiva dall'attuale piazza. Con la costruzione della scalinata tale rampa fu demolita e il prospetto della Chiesa fu messo completamente in vista.
La chiesa ad una navata con transetto ed abside era illuminata da rosone circolare affiancato da due monofore sul prospetto e da tre bifore su ogni fiancata.
Dopo la soppressione del Convento avvenuta nel 1809 e la destinazione di tutto l'edificio a Caserma militare (Caserma Blanc), il lato sinistro della scalinata fu raccordato con opere d'arte e con un terrapieno all'antico orto dei frati. Essa non rimase pertanto più isolata dall'ambiente circostante, come nella sua costruzione originaria.
Nel 1954 viene costituita la Biblioteca:
"Sant' Antonio Dottore".
La Biblioteca è sempre stata una presenza di grande rilievo per il convento. Durante i secoli XVI-XVIII, infatti, il convento accoglieva lo Studio Provinciale con importanti maestri, quale il Padre Maestro Ambrogio Mauri, insigne professore del 1600, e la biblioteca disponeva di un gran numero di libri, sicuramente amanuensi, ricordati dai cronisti francescani, a disposizione degli studenti e di quanti frequentavano questo importante sito di cultura. Purtroppo sia per l'incendio del 1638 ed anche a causa delle continue spoliazioni verificatesi durante il decennio di occupazione francese (1808-1815) e durante il periodo delle leggi di soppressioni piemontesi (1866), gran parte di tale fondo è andato perso. Ciò nonostante, la biblioteca dispone di un patrimonio librario di oltre ventimila volumi, oltre ad importanti, quanto rari, testi antichi. Nel 1954 viene costituita la Biblioteca "S. Antonio Dottore", parte integrante del Convento di S. Antonio e di proprietà della Provincia di Napoli dei Frati Minori Conventuali.
La chiesa dedicata a San Francesco, ubicata nella via omonima n. 9, è parte integrante del "Complesso Monumentale San Francesco". Fu edificata nel sec. XIII su una preesistente chiesetta - in località Ponticeto - e dedicata a San Giovanni Battista. Ravello.
La chiesa, preceduta da un atrio coperto, è annessa al convento francescano. Originariamente a croce latina, con tre navate e otto cappelle, in seguito ai restauri settecenteschi si presenta oggi come un'aula mononave con volta a botte (fino al sisma del 1980 ornata da affreschi) e breve transetto a scarsella. Sotto l'altare maggiore riposano le spoglie del beato Bonaventura da Potenza, morto a Ravello nel 1711, quattro miracoli del quale sono raffigurati nelle tavole che ornano le pareti dell'abside. Addossati alle pareti della navata sono quattro altari, due per lato, ornati da dipinti. Il primo altare a destra presenta una tela raffigurante i tre santi francescani Santa Chiara, San Bonaventura e San Ludovico d'Angiò; l'altare seguente è ornato dall'Incoronazione di San Giuseppe. Sul primo altare di sinistra è una Deposizione di Cristo, mentre sull'altare seguente campeggia La Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina. Gli altari del transetto sono dedicati, rispettivamente, all'Immacolata (altare destro) e a Sant'Antonio (altare sinistro). Nella cantoria sita nella controfacciata trova luogo un organo a canne del 1909, che riutilizza parte di uno strumento precedente del 1736, restaurato nel 2012.
In questa sala all'ingresso del santuario è stata allestita un memoriale del beato cioè le reliquie e gli oggetti sacri a lui appartenuti sono raccolti in questo "Memoriale del Beato", un'antica sala ubicata accanto alla chiesa. Il memoriale custodisce anche manoscritti, ritratti del beato e la prima biografia a lui dedicata, pubblicata nel 1754. una sala dove riproduce la vita e i miracoli del Beato a noi molto cara.
La Biblioteca San Francesco è patrimonio dello storico convento San Francesco in Ravello, fondato dallo stesso Santo di Assisi.
Dopo alterne e varie vicende - ultima, in ordine di tempo, quella drammatica del sisma del novembre 1980 - la struttura e la funzionalità della Biblioteca si sono ricomposte.
Il patrimonio bibliografico della Biblioteca è costituito da fondi antichi e moderni ed è in continuo incremento; la consistenza attuale è di circa quarantamila volumi.
La Biblioteca custodisce manoscritti, cinquecentine, alcune delle quali rare, e preziosi corali.
Secondo la tradizione la chiesa ed il convento di S. Antonio furono fondati, nei primi anni dell'Ordine, certamente nel sec. XIII al passaggio di S. Francesco (1222). « Federico II° nonostante la poca tenerezza per le persone e gli interessi della Chiesa, manifestò la sua simpatia a S. Francesco ed ai suoi figli, accogliendoli cortesemente ed offrendo loro la sua prodiga regale confidenza» (Araneo - «Notizie storiche suIIa Città di Melfi»).
L'una e l'altro sono appartenuti fino aIIa soppressione napoleonica (1809) alla custodia barIettana deIIa provincia barlettana di S. Nicola.
L'antica chiesa in seguito all'invasione delle milizie del Lautrec 23-3-1528, andò soggetta a gravissimi danni che si aggiunsero a quelli già operati dagli aragonesi il 27-3-1557. Infatti, per ordine di requisizione di D. Ferrante ALVAREZ di Toledo duca di Alba e viceré di Napoli veniva privata di tutte le campane. Dopo questi avvenimenti fu costruita l'attuale grande chiesa con cappelle laterali a sinistra, mentre la piccola veniva adibita a sacrestia.
I lavori di ricostruzione di questa con ogni probabilità, terminarono il 1580, come può osservarsi da un reperto venuto alla luce, da sondaggi fatti recentemente dalla Soprintendenza e che si trova quasi alla base dell'arco trionfale a destra. La nuova chiesa dopo aver ben sopportato i terremoti del 1731 – 1752, non fu risparmiata da quello del 14-8-1851.
L'Abbazia di S. Michele sorge in un paesaggio di straordinaria bellezza, dove il verde di una fitta vegetazione si alterna a due specchi d'acqua creando un incantevole effetto scenografico. L'abbazia, fondata dai Benedettini nel X sec., ha una tradizione molto antica. Fu infatti costruita su una grotta scavata nel tufo, nei pressi della quale sono stati ritrovati depositi votivi risalenti al IV-III sec. a.C.La Grotta dell'Angelo dedicata a S. Michele era il luogo dove si riunivano in preghiera i monaci italo-greci che anticamente abitavano la zona. Successivamente vi si insediarono i Benedettini, che fecero edificare l'abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Dopo molte vicissitudini passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio. L'intero complesso è costituito da un convento a più piani, una chiesa settecentesca e la cappella di S. Michele. Un caratteristico sentiero attraversa i fitti boschi e conduce all'abbazia che, arroccata su una falda del monte Vulture, si affaccia sul lago Piccolo creando un gradevole contrasto con la natura circostante.
Il complesso parrocchiale è costruito su un suolo donato dai fratelli Notari, su progetto dell’architetto Scalpelli. La chiesa è caratterizzata da un colonnato circolare all’interno, da un’abside a cappellone in fondo e da una cappella del Santissimo, circolare. La chiesa è stata consacrata da monsignor Gaetano Pollio il 25 giugno 1971. Il primo parroco è stato Don Cesare Pellegrino.
L'INTERNO:
L'artistico e originale fonte battesimale in pietra di Trani, è stato progettato dal parroco padre Paolo D'Alessandro nel 2015. Esso è stato concepito come un fiore, che sboccia, avente otto petali sinuosi che si alternano nella finitura liscia e bucciardata. Il numero otto significa, nella simbologia cristiana, la resurrezione di Cristo e quella dell'uomo che crede in Lui, vita nuova che sboccia dal Sacramento del Battesimo per mezzo dell'acqua e dello Spirito Santo.
La storia del complesso di San Francesco a Folloni risale al XIII secolo ed è collegata alla leggenda del viaggio di San Francesco d’Assisi al santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Il primo nucleo del complesso risale al Duecento e l’antico romitorio sorgeva dove è oggi la sacrestia, come hanno confermato resti murari emersi in recenti scavi. Nel Cinquecento fu costruito un più ampio convento ma anche di questa fase rimangono pochi ambienti integri, come il chiostro con la cisterna. È alla metà del XVIII secolo che il complesso assunse l’assetto architettonico definitivo, con la realizzazione di un nuovo chiostro e di una nuova chiesa che conservò, come le precedenti, il titolo dell'Annunziata. Degli ambienti cinquecenteschi fu conservata la navata sinistra e il coro, oggi noto come Cappella del Crocifisso (ma la descrizione della chiesa del ‘500 è nella Platea del convento (1740-41), conservata nell’Archivio di Stato di Avellino). La chiesa è a navata unica con cappelle laterali, transetto e coro impreziosita da stucchi. Settecenteschi sono tutti gli arredi liturgici come gli altari, le pile dell’acqua santa, gli stalli del coro, il pulpito e i confessionali. Dal coro della chiesa si accede alla Cappella del Crocifisso, il cui altare contiene la venerata reliquia del Sacco di San Francesco, ed alla sacrestia, a pianta rettangolare, impreziosita dai pregevoli intagli lignei del banco e da uno splendido lavabo marmoreo decorato a volute e delfini incrociati. In quest’ambiente è collocato il magnifico cenotafio eretto da Margherita Orsini in onore di suo marito Diego I Cavaniglia, conte di Montella, morto nel settembre 1481 per una ferita riportata ad Otranto, assediata dalla flotta turca di Maometto II, alleato della Serenissima nella guerra tra Napoli e Venezia. Le soppressioni del decennio francese (1806-1816) e quelle seguite all’Unità d’Italia provocarono l’abbandono del convento da parte dei frati che vi tornarono soltanto nel 1933, quando fu restaurato grazie al sostegno dei cittadini di Montella e di Umberto II di Savoia, amante di questo luogo.
Francesco allora si rifugia con i confratelli nel Bosco di Folloni, che all’epoca era infestato dai briganti, e passa la notte sotto un leccio, un albero che, nella simbologia cristiana, è caratterizzato da importanti significati (da esso, per esempio, si ricavò il legno della croce di Cristo). Una volta calata la notte inizia a nevicare copiosamente, ma la neve non tocca né l’albero né nessuno dei frati addormentati, tanto è vero che, quando il giorno dopo il castellano e tutta la popolazione accorrono nel luogo dove si è verificato il miracolo, chiedono a San Francesco di costruire lì un convento. Il Santo accetta volentieri e getta le basi per costruire una prima chiesa, molto piccola, dedicata alla S.S. Annunziata. Il leccio sarà poi conservato come reliquia sotto l’altare per lungo tempo.
Di ritorno dalla Puglia, Francesco si ferma nuovamente a Montella, nel periodo in cui il primo nucleo del convento era in fase di realizzazione.
Nell’inverno del 1224: i frati sono bloccati all’interno della chiesa del Bosco di Folloni per colpa della neve e non mangiano da alcuni giorni. Ad un certo punto sentono bussare alla porta e, una volta aperto, trovano un sacco pieno di pane con su impresso lo stemma dei Gigli di Francia. Poiché a quel tempo Francesco si trovava presso la corte di re Luigi VIII, i frati pensano che il Santo abbia chiesto al re del pane e lo abbia poi affidato agli angeli affinché lo consegnassero ai suoi confratelli.
La Biblioteca.
Istituita nel XV secolo, fu saccheggiata dopo la soppressione del convento in epoca napoleonica. Ripristinata negli anni trenta del secolo scorso, ospitata nella sala cinquecentesca dell'ex refettorio, conserva opere edite in Italia e all'estero dai primi del Cinquecento a tutto il Settecento. Conserva attualmente circa 20.000 volumi.
La biblioteca di S. Francesco possiede un fondo antico di incommensurabile valore, polo di riferimento nei secoli passati ed anche attualmente per la presenza significativa dei Frati Minori Conventuali per tutta l’Alta Valle del Calore comprendente i paesi di Montella, Cassano, Bagnoli Irpino, Nusco.
Significativo valore sia per la preziosità delle note bibliografiche sia per il contenuto delle opere stesse che sono ripartite in edizioni stampate in Italia e all’estero a partire dai primi del 1500 a tutto il 1700.
Tra i tanti argenti, oggetti liturgici e parati sacri conservati nel museo, si segnalano la splendida croce astile in argento di età aragonese, alcuni calici di fattura napoletana, e soprattutto le vesti quattrocentesche di Diego I Cavaniglia, rinvenute durante gli scavi effettuati nel convento. Recentemente restaurati e analizzati, il farsetto e la giornea del conte hanno dimostrato come Napoli fosse protagonista di una cultura rinascimentale di portata europea, per la fattura dei tessuti e la tipologia dei decori prodotti.
Tra i dipinti sicuramente interessanti sono un San Francesco in estasi che la critica più aggiornata ritiene opera della bottega del pittore Francesco Solimena e una lunetta dipinta raffigurante un’Annunciazione, recentemente attribuita all’artista marchigiano Francesco da Tolentino.
La chiesa deriva il nome dal Santo d’Assisi, il quale vi soggiornò nel 1222 durante il suo pellegrinaggio al Gargano.
Già nel 1260 i Conventuali di Benevento avevano giurisdizione su vari conventi del Sannio, dell’Irpinia e di Terra di Lavoro. Il convento fu sede di noviziato fino all’invasione napoleonica, che trasformò il complesso in uffici e depositi militari. Il 5 Aprile 1959 i Conventuali ritornarono in possesso della struttura e si adoperarono pazientemente a ripristinare il volto originario del Convento. Il 21 Dicembre 1968 la chiesa è stata riaperta al culto.
Essa si presenta ad una sola navata nuda e lineare nello stile, con abside gotica, che reca tracce pittoriche di scuola napoletana, testimoni di un fecondo periodo culturale beneventano.
A destra della vetrata si può ammirare un affresco quattrocentesco che rappresenta, nella parte superiore la S.S. Trinità tra la Madonna e l’Evangelista Giovanni, e, nella parte inferiore, un trittico che riproduce San Bartolomeo, San Giovanni Battista e San Francesco.
Sulla parete di destra ci sono frammenti di affresco di pittura napoletana di tipo giottesco-masiano, risalenti circa al 1360 che riproducono la Madonna dell’Umiltà su sfondo azzurro, ed a fianco, sotto un’arcata, una Resurrezione, anch’essa deteriorata.
Sulla parete di sinistra appare un frammento di affresco che ritrae il nobile Pietro Stampalupo in preghiera davanti a Cristo. Insieme al fratello Landolfo, il 31 Gennaio 1243 Pietro Stampalupo donò ai Frati Conventuali la Chiesa di San Costanzo ed altri beni.
In alto, sulle pareti della navata si aprono belle e luminose vetrate raffiguranti, tra gli altri, San Bonaventura, il Beato Dunz Scoto e Sant’Antonio.
In un’edicola del primo chiostro si può ammirare un affresco frammentario raffigurante un Santo Vescovo bizantino.
Due sono i chiostri, oggi completamente riportati alla luce, che si aprono all’interno dell’edificio conventuale.
Il più grande, a pianta quadrata, è formato da volte sorrette da archi e da colonnine romane.
Nel centro di aiuole ben curate s’erge la statua del Santo.
L’altro, a pianta rettangolare, di minori proporzioni, presenta archi e grossi pilastri in muratura, senza decorazioni.
In un’edicola del primo chiostro si può ammirare un affresco frammentario raffigurante un Santo Vescovo bizantino.
Il Convento fu fatto costruire dal nobile napoletano Gualtiero Galeota, che lo dedicò a San Francesco, per poi offrirlo ai frati minori. Nel 1585, nella chiesa, veniva fondata una Congregazione laica dedicata all'immacolata.
Divenuta poi Arciconfraternita, fu estromessa nel 1738. Dopo l'eruzione del 1631, la chiesa divenne il centro della cittadinanza fino al 1642. Nel 1738, per volontà di Carlo di Borbone, la chiesa ed il convento furono dedicati a Sant'Antonio.
Tra il 1768 ed il 1770 furono istituite, nel convento di Sant'Antonio e in quello di San Pasquale, le prime due scuole gratuite. I frati furono cacciati dal Convento una prima volta dalla repressione napoleonica, ma vi ritornarono quasi subito, quindi furono nuovamente estromessi nel 1886 dalla repressione italiana, ed in quella occasione furono perpetuati nella loro presenza dal Padre Salvatore Jovino.
Negli ultimi anni la chiesa ha subito delle trasformazioni riguardanti principalmente la navata centrale riportata ad una sistemazione cinquecentesca. Sebbene del tutto ignorata, è davvero eccezionale, la decorazione rococò della volta che copre l'ambiente rettangolare dell'antisacrestia, dove motivi fantastici di fiori, teste d' angolo e linee sinuose compongono un lieve e pur ricco ornato, di carattere del tutto insolito nell'ambiente campano.
Nel campanile si trova una campana con la data di fusione del 1529, e la stata di Sant'Antonio è del '400; sull'altare c'erano le armi dei Carafa che donarono una porzione di terreno al convento. Dopo tanti secoli, dal 1981 questa chiesa è di nuovo parrocchia. All'interno del complesso si possono ammirare alcuni magnifici quadri e famose lapidi a ricordi dei vari avvenimenti storici vissuti dalla comunità.
Al convento è legata la storia di due pozzi. Il primo, sito in fondo sulla sinistra del chiosco, è detto di "S. Francesco". La tradizione vuole che il Santo percuotendo la lava bituminosa del 1036 con il suo bastone, avrebbe aperto il pozzo che seccatosi fu successivamente ripristinato ,con un segno di croce, da San Giacomo La Marca.
Il secondo, posto a destra della facciata della chiesa, è ricordato per il miracolo di S. Antonio che avrebbe riportato su dal pozzo un bimbo cadutovi dalle braccia della madre.
La tradizione vuole che la Chiesa e convento siano stati fondati da S. Francesco, anche se ciò è confutata dal Wadding che afferma come il convento e la Chiesa siano state costruite ad opera del cavaliere napoletano Gualtiero Galeota su esplicita richiesta al papa Benedetto XII che con il Breve apostolico in data 1 marzo 1337, risponde positivamente alla richiesta del gentiluomo.
Il convento fu comprato, a seguito di grandi sacrifici da parte dei religiosi, che ebbero la gioia di riaverlo completamente nel 1934. Da quella data e per venti anni il convento ospitò il seminario teologico e dal 1954 al 1976 il seminario minore.
A Potenza un atto notarile del 1273 testimonia un intervento edilizio promosso dai frati per la costruzione della chiesa di San Francesco, presumibilmente nell’ambito dei lavori di ricostruzione dopo il sisma del 1273. Sui resti di un antico oratorio protoromanico sorge il complesso conventuale dedicato a San Francesco. Dall’iscrizione presente sul portale della chiesa, alla base dell’impianto dell’archivolto, si evince che fu fondato nel 1265. Certo è che, già intorno al 1240, in piena età federiciana, si può ipotizzare una forma di presenza dei Frati Minori in gran parte del Mezzogiorno che, in Basilicata, non risulta abbastanza strutturata e istituzionale almeno da lasciare traccia nella documentazione.
Solo nel corso del XV secolo si registra per la prima volta in Basilicata un generale e consistente incremento delle fondazioni conventuali mendicanti, determinato dal diffondersi delle Osservanze all’interno degli ordini religiosi. Tra il XVI e il XIX secolo fu denominato “Grande convento” poiché ospitò una prestigiosa scuola teologica. Oggi è possibile vedere solo il porticato del chiostro a sei arcate al cui termine è collocata una porta lignea di pregevole fattura con un portale quattrocentesco in pietra calcarea.
La chiesa è situata nei pressi di piazza Mario Pagano, piazza principale della città di Potenza. La chiesa di San Francesco nasce quarant'anni dopo la morte del santo. Il biografo del Serafico, Tommaso da Celano, nel 1246 scrive di un episodio accaduto a un canonico del Duomo, il quale non credendo alle stigmate della passione inflitte a San Francesco, fu a sua volta stigmatizzato in una chiesa della città. La chiesa ha una chiara origine duecentesca, come attestano le due scritte poste sul portale principale dell'edificio. Secondo queste ultime il convento sarebbe stato fondato nel 1265, mentre la chiesa nel 1274. Per sei secoli la storia della chiesa è inseparabilmente legata alla storia del convento. Anche oggi le due storie si incrociano: sul fondo, a destra della piazza della Prefettura, intitolata a Mario Pagano, s'intravede la chiesa francescana, mentre la scena è occupata dal palazzo del governo. Addossata alla facciata della chiesa, l'ala dell'ex convento trasformata in tribunale subì un incendio nel 1912; la ricostruzione dell'edificio portò alla conseguente separazione dalla chiesa, creando l'attuale vicolo Branca. Nel cuore della città di Potenza, i frati dell'Assissiate erigono un luogo di ristoro e di rifugio, una stazione provvisoria lungo gli itinerari di predicazione delle popolazioni meridionali. A sostenerlo è lo storico francescano Bove, secondo il quale il fatto che il primo allogare minoritico (1230-50) sia avvenuto a Potenza, induce a concludere che non si tratta di un'intenzionale fondazione minoritica, ma di una stazione provvisoria per la predicazione itinerante. La stabilità conventuale parte dalla metà del secolo XIII, quando avviene la costruzione dell'intero complesso conventuale. La centralità di Potenza rispetto al territorio circostante e la presenza di strade che si snodavano lungo l'antica rete romana sono state le ragioni principali per cui i religiosi ampliarono il complesso conventuale, anche sulla base delle numerose donazioni documentate che rappresentarono un notevole allegerimento economico per i frati. Quello dei conventuali a Potenza fu uno studio teologico importante. Il numero dei religiosi risulta essere stato numeroso già nella prima metà del '600. Testimonianza di ciò è la planimetria del convento disegnata dall'architetto Ponticelli nel 1809 che documenta l'ampiezza del complesso, la sua articolazione in piani, corridoi e cellette, due cortili interni, orto e grande chiostro, secondo le tradizioni conventuali francescane. Il convento di San Francesco ha conosciuto momenti di splendore per il numero dei religiosi, per l'essere centro di attrazione e punto di riferimento spirituale dei giovani, provenienti dai vari paesi della Basilicata e orientati a entrare nel chiostro di San Francesco. Questo luogo esercitò soprattutto tra il XVII secolo e il XVIII secolo un notevolte influsso sull'orientamento vocazionale alla vita religiosa e sacerdotale, grazie anche alla presenza della ricca biblioteca del vescovo Bonaventura Claver. Un lavoro dello storico conventuale Pio Iannielli, cita spesso frati potentini o di origine lucana, che hanno ricoperto nell'Ordine e nella Chiesa un ruolo rilevante. Dai santi del '700 come il Beato Bonaventura da Potenza, Domenico Girardelli da Muro Lucano, ai vescovi Bonaventura Claver, pugliese e vescovo di Potenza e Pietro Paolo Caporella, una lunga lista di personalità che hanno avuto come punto di riferimento il convento di San Francesco di Potenza.
LA PARROCCHIA BAIA DOMIZIA
La presenza dei nostri religiosi nella Diocesi di Sessa Aurunca ha inizio nell’ottobre del 1965.
Il 3 luglio 1966 viene benedetta da Sua Ecc.za Mons. Costantini una cappella provvisoria dedicata a S. Francesco nella zona di Baia Domizia.
Nel 1966 i nostri religiosi iniziarono a curare anche la Parrocchia di S. Caterina Vergine e Martire a Borgo Centore e il 18 febbraio 1967 il p. Basilio Heiser, Ministro Generale, erige la casa religiosa a Baia Domizia.
Dopo il Capitolo provinciale del 1967 la comunità religiosa si stabilisce a Borgo Centore dove ai nostri religiosi è affidata la cura pastorale di quella zona.
In questi ultimi anni sono stati realizzati pregevoli mosaici e un nuovo fonte battesimale tutto in marmo.
E un luogo di di riposo, luogo per il mare, ci sono sale per riunioni, per catechismo, molto frequentato nel periodo estivo, e centro per le missioni durante il periodo estivo.
È un convento francescano del XVI-XVII secolo edificato da Beato Fra Ludovico da Casoria, un tempo era dedicato a San Bernardino. È posto nel cuore del centro storico di Sant’Anastasia, affacciato in Piazza San Francesco. L’edificio, a forma di croce latina, ha una facciata e gli esterni piuttosto semplici che però nascondono degli interni incantevoli e raffinati. Pregevole è un dipinto raffigurante la consegna del cingolo a San Francesco attribuita al pittore fiammingo Cornelis Smet, il dipinto è suddiviso in due parti: in una Dio porge i cordigli francescani a Cristo dalla cui mano si snoda un altro cordiglio che viene preso da San Francesco, l’altra parte raffigura un papa, forse Sisto V che riceve i cordigli; presenti in questa scena anche un frate ed un cavaliere. Nelle vicinanze della Convento c’è la casa-museo del venerabile Francesco Maria Castelli, nonché una cappellina a lui dedicata. È per volontà di un gruppo di persone afferenti alla parrocchia di Sant’Antonio che si svolge ogni Vigilia di Natale, per le vie del centro storico, il presepe vivente che si conclude con la scena della Natività proprio in piazza San Francesco.