VITA DI SAN FRANCESCO
DIVENTERO' UN GRANDE PRINCIPE
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Francesco d'Assisi è vissuto 44 anni, dall'inverno 1181/82 fino al crepuscolo del sabato 3 ottobre 1226.
II biografo che I'ha conosciuto, Tommaso da Celano, inizia così la sua Prima Vita: "Viveva ad Assisi, nella valle spoletina, un uomo di nome Francesco". Ne prende lo spunto anche san Bonaventura nella sua Leggenda Maggiore: "Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco ... ". Non c'e alcun riferimento storico perché la vita di un santo la si racconta per eventi e temi.
Viene battezzato con il nome Giovanni, ma il padre, Pietro di Bernardone, pendolare tra I' Italia e la Francia a commerciare "panni franceschi", lo chiama Francesco.
Cresce simpatico, umano, credibile; non passa repentinamente dalle tenebre dei peccati alla luce abbagliante della perfezione, ma attraverso una vita normale di sogni e di spensieratezza, di svaghi e di impegni lavorativi, matura in se stesso i segni di una intensa esperienza cristiana.
E' un giovane particolarmente allegro, ma non superficiale, generoso ad oltranza e sensibile, ma non incosciente, dotato di una certa civetteria ama essere al centro dell'attenzione, ma più per la consapevolezza delle sue doti che per eccessivo narcisismo.
Si sente avviato a grandi cose e non manca di affermarlo: so che diventerò un grande principe. E per di più c'e in Assisi un semplice il quale ogni volta che lo incontra per la strada si toglie il mantello e lo stende davanti ai suoi piedi, proclamando che avrebbe compiuto un giorno delle meraviglie.
Era il gesto ingenuo e riconoscente di un povero trattato con generosità e umanità o il messaggio di una profezia? Le grandi cose a cui ambire a quel tempo erano le imprese dei cavalieri di cui era ricca la cultura giullaresca.
A vent'anni si cimenta in una battaglia vera appena fuori casa, a Collestrada, ma il suo esercito è fragile e improvvisato come le fantasie giovanili, ma soprattutto i suoi muscoli non sono forti come la sua sensibilità e il suo cuore, le sue mani non sanno stringere una spada come quando si poseranno sulle piaghe dei lebbrosi. E viene fatto prigioniero per un anno intero ma non perde il vizio di essere contento e di fantasticare. Ritorna a casa e riprende il suo lavoro nel negozio del padre. Poi si ammala di una malattia lunga e misteriosa che debilita il corpo ma rafforza i pensieri e soprattutto lo spirito.
LA FORZA DI UN SOGNO
II giovane allegro, esuberante incomincia a scegliere il silenzio e la solitudine, si allontana dal centro della città e va a esplorare i luoghi abbandonati della campagna di Assisi. E' alla ricerca di un tesoro, ma che è ancora molto nascosto.
Ritorna alla quotidianità, ma con qualche pensiero in più, più inquietante. Poi riprova a sfondare per realizzare le grandi cose a cui si sente chiamato.
Si arruola per una spedizione nelle terre di Puglia; gli occhi del padre lo accarezzano fieri quando lo vede rivestito nella nuova armatura, gli amici delle feste lo salutano invidiosi. E finalmente riparte. Fa poca strada, fino a Spoleto e la sua avventura si infrange contro un sogno.
Sogna un castello pieno d'armi: ma tutte quelle grandi cose a chi appartengono, al padrone o al servo? Nel sogno una voce: “Francesco, ritorna ad Assisi”. E' la sconfitta e la resa più bruciante di quella di Collestrada perche senza le ferite della battaglia. Gli anni passano, il giovane e ormai uomo e le ferite le ha dentro, invisibili ma profonde.
Lì restano solo i sentieri solitari per sfuggire I'ironia della gente, le battute delle ragazze, lo scherno degli amici. Un giorno si sente attratto dai ruderi di una chiesetta e lì scorge un crocifisso impolverato e abbandonato, ma che lo aspettava pazientemente. "Francesco, va e ripara la mia casa".
E così quelle mani delicate e scarne, incapaci di stringere con forza I'elsa di una spada, si sporcano, si graffiano, si ornano di calli.
Ma Dio non ha bisogno di muratori perche la sua casa è fatta di anime o meglio di persone. I poveri e i lebbrosi diventano la sua compagnia preferita, a loro riserva tutte le attenzioni e i soldi della bottega del padre.
Pietro di Bernardone che aveva puntato tutto su quel figlio, aveva chiuso un occhio su tutte le sue stravaganze, ma adesso la sua pazienza aveva colmato la misura e incominciava a montare una rabbia furiosa, incontrollabile. Era necessaria un'azione di forza per farlo tornare in se, davanti a tutti, anche per non perdere la faccia.
E Francesco, spogliandosi, reagisce con il gesto più radicale e più liberatorio che potesse fare iniziando una nuova vita e assumendo una nuova identità: "D'ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone".
E qui incomincia un'altra storia che racconteremo per tappe fondamentali, limitandoci a qualche piccola chiosa.
LA FRATERNITA'
Dopo un breve periodo di vita solitaria si raccolgono intorno a lui i primi seguaci, Egidio e Silvestro d'Assisi, Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani e Angelo Tancredi. Quando la prima fraternitas ha ormai preso forma intorno al Tugurio di Rivotorto, Francesco elabora una formula vitae che non ci è giunta e, insieme agli undici compagni, si reca a Roma per sottoporla al pontefice. Innocenzo III, persuaso da un sogno in cui vide il Laterano pericolante sorretto da un giovane frate, si limita a concedere un'approvazione orale, incaricando Francesco di "predicare a tutti la penitenza". Nel 1212 la "fraternità", notevolmente accresciuta, si stabilisce alla Porziuncola, poco lontano da Assisi. L'esempio di Francesco è seguito anche da Chiara, una giovane assisiate che, ricevuto I'abito, da vita alla comunità delle Povere dame di san Damiano, il futuro Ordine Minore delle Clarisse.
Spinto dal desiderio di testimoniare la fede al mondo intero, Francesco aveva tentato più volte di recarsi nei paesi non cristiani: fermato da un naufragio nel 1211 a largo della Dalmazia e da una malattia in Spagna nel 1214, raggiunge l'Egitto nel 1219, dove ottiene dal sultano Malek-el-Kamel I'autorizzazione a predicare, aprendo la via alle grandi missioni cattoliche. Rientrato ad Assisi, sofferente nel fisico e amareggiato per i contrasti tra i frati durante la sua assenza, nel 1220 Francesco rinuncia alla carica di ministro generale della comunità in favore del fedele compagno Pietro Cattani. II 29 novembre 1223 Onorio III approva con la bolla Solet annuere la regola francescana, sancendo la nascita ufficiale dell'Ordine dei Frati Minori. Assistito da tre compagni, Angelo, Leone e Rufino, ormai quasi cieco, nel 1224 Francesco si ritira nell'eremo della Verna, il dantesco "crudo sasso intra Tevero e Arrno", dove riceve le stimmate. Muore il 3 ottobre del 1226 alla Porziuncola e viene canonizzato da Gregorio IX il 16 luglio 1228.
"UN UOMO SANTISSIMO" (SAN BONAVENTURA)
La spoliazione davanti al padre e al vescovo nella piazza di Assisi, aveva portato finalmente Francesco a scoprire la sua identità di figlio di Dio e la sua configurazione a Cristo.
"Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre". Coloro che compiono le opere del Padre "sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi quando I'anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù delle Spirito Santo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che e nei cieli. Siamo madri quando portiamo nel cuore e nel corpo per mezzo del divino amore e della pura coscienza e lo generiamo attraverso le opere sante" (Lettera a tutti i fedeli).
Diventare come Gesù. Fu questa il senso della sua vita espresso nella Regola per i frati: "Questa e la vita del vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor Papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata" (Regola non bollata).
La sua conformazione/imitazione di Cristo cercata per tutta la vita I'ebbe perfino impressa nella sua carne con i segni delle stimmate. Scrisse frate Elia dopo la morte di Francesco: "Ed ora vi annuncio una grande gioia, uno straordinario miracolo: non si è udito un portento simile, se non nel Figlio di Dio, Cristo Signore. Qualche tempo prima della sua morte il nostro Padre (Francesco) apparve crocifisso, portando impresse nel suo corpo le cinque piaghe, come sono veramente le stimmate di Cristo".
E testimonia frate Leone: "Quando si stava lavando il suo corpo per la sepoltura, sembrava veramente come un crocifisso deposto dalla croce”. Un altro modo per vivere il rapporto con Dio e realizzarlo in Cristo è fare corpo con I'umanità di Gesù stesso, entrare in lui, unirsi intimamente a lui. E questo è possibile 'realmente' attraverso il sacramento dell'Eucaristia. Un sacramento che Francesco ha vissuto con tale intensità da vibrare e ardere "di amore in tutte le fibre del suo essere, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Si comunicava con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri" (Tommaso da Celano, Vita Prima).
LA RICCHEZZA DELLA POVERTA'
Povertà è I'atteggiamento umile di chi non rivendica nulla di fronte al dono di Dio, ma dimora nella gratitudine per I'esistenza donata con tutti i suoi beni. Non occorre affannarsi per ammassarli, ci sono già!
In tal modo la povertà diventa partner di una relazione di alleanza, di un patto (=commercium) che procura i doni più belli: chi sposa Madonna Povertà rinuncia a bastare a se stesso, rimette a Dio quel poco che ha e riceve da lui, che è tutto, il centuplo. L'uomo rinuncia al suo nulla, perché tutto gli e donato, per partecipare al tutto di Dio. Concetto che può essere assimilato senza problema solo da chi ha fatto di Dio il suo tutto.
Questa e I'intuizione della povertà secondo Francesco, un atto di fede nell'onnipotenza di un Dio fedele. II Poverello possiede tutto perche non ha nulla di sé, ma tutto il mondo da Dio.
Così quel giovane che rinunciò alla casa e alla famiglia trovò una famiglia numerosissima e mille case ospitali. La povertà radicale di Francesco lo fa possessore in anticipo di cieli nuovi e di nuove terre, della nuova creazione che Dio prepara per i suoi eletti, stabilendo nuove relazioni con il creato e i fratelli.
Vertice meraviglioso di questa esperienza del mondo rinnovato è il "Cantico delle Creature" in cui Francesco partecipa del giudizio di Dio sulla creazione: "E vide che era molto buono" (Genesi).
Ma la nuova creazione coinvolge e modifica anche le relazioni tra gli uomini annunciata nel saluto-augurio messianico: "La pace sia con voi". Era il saluto dei frati di Francesco. Icona di tale nuova fraternità è lo stile di vita dei compagni del santo che vivevano nella letizia e nella carità vicendevole.
La regola d'oro della fraternità suonava così: "Pecca I'uomo che vuole ricevere dal suo prossimo più di quanta vuole dare di sé al Signore". E' la proposta di chi vuole assumere la relazione con Dio come misura di ogni esperienza umana. Nella santità e nella grandezza di Francesco si può vedere visibilmente che cosa può realizzare una creatura quando accoglie senza riserve il dono della grazia divina. Possiamo restare solo stupiti, ammirati e sentirne il richiamo con le parole stesse del santo di Assisi: "Oh, come e glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come e santo e consolante, bello e ammirevole avere un tale sposo! Oh, come è santo, come e delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile avere un fratello, il quale offrì la sua vita per le sue pecore e prego il Padre per noi!" (Lettera a tutti i fedeli).
BIOGRAFIA CRONOLOGICA
– Compone e recita la preghiera Ti adoriamo (FF 111).
– Questa «Protoregola», più che perduta, è stata inglobata e poi amplificata progressivamente dentro il testo della Regola non bollata (1210-1221).
– Da Rivotorto la fraternità passa a Santa Maria della Porziuncola, la chiesetta ottenuta in custodia dai benedettini del Subasio.
– Esortazione alla lode di Dio Esortazione alla lode di Dio (FF 265a): per acerbità di struttura e di forma, potrebbe appartenere ai primi anni del «peregrinare» di Francesco.
– Ai fatti è presente Giacomo da Vitry-sur-Seine, consacrato vescovo di Acri (Tolemaide), che in una lettera dell'ottobre 1216 fornisce la prima preziosa testimonianza esterna sulla vita e la stima ecclesiale goduta dai cosiddetti frati minori e dalle sorelle minori (FF 2205: ma cf. 2200-2209).
– 11 giugno: nella bolla Cum dilecti, indirizzata a vescovi e prelati, Onorio III raccomanda di accogliere i «frati minori [...] come uomini cattolici e fedeli» (FF 2708).
– Nel mese di giugno Francesco si imbarca per l'Oriente e giunge a Damietta, dove incontra pacificamente il sultano d'Egitto Melek-el-Kamel.
– Informato che i «vicari» lasciati in Italia avevano introdotto disposizioni arbitrarie nella Regola, Francesco rientra, ottiene da Onorio III il cardinale Ugolino come protettore dell'Ordine, arricchisce di testi biblici la Regola con l'aiuto di frate Cesario da Spira (cf. Giordano 12-15: FF 2334-2338).
– Sulla scia dell'esperienza in Oriente e della lettera papale Sane cum olim (datata 22 novembre 1219), Francesco invia ai «tre stati» cristiani delle lettere, con l'invito alla lode divina pubblica e al culto eucaristico:
– Lettera a tutti i chierici Lettera a tutti i chierici, 1a redazione (FF 207/a-209/a), 2a redazione (FF 207-209).
– Lettera ai reggitori dei popoli (FF 210-213).
– Prima lettera ai custodi (FF 240-244).
– Seconda lettera ai custodi (FF 245-248: appoggia le tre precedenti).
– 22 settembre: la bolla Cum secundum obbliga anche i frati minori all'anno di noviziato, vietando di lasciare l'Ordine dopo la professione religiosa (FF 2714).
– Francesco rinuncia al governo diretto dell'Ordine, affidandolo a un vicario (Pietro Cattani, fino al 10 marzo 1221; gli subentra frate Elia).
1221 – 30 maggio: al capitolo generale della Porziuncola si organizzano con cura nuove spedizioni oltralpe (Germania) e si discute il nuovo testo della Regola:
–Regola non bollata, in 24 capitoli (FF 1-73), sicuramente approvata dal papa (cf. Prologo e 24,4), ma non con bolla ufficiale.
– Un completamento «spirituale» delle norme per la fraternità è costituito dalle Ammonizioni (FF 141-178), forse raccolte progressivamente ai capitoli generali, dove «santo Francesco rivolgeva ai frati ammonizioni, riprensioni e precetti [...], dopo aver consultato il Signore» (Anper 37: FF 1529).
– Saluto alla beata Vergine Maria (FF 259-260).
– Orazione sul «Padre nostro» (FF 266-275).
– Non mancano le tensioni comunitarie (al «capitolo delle stuoie»: CAss 17-18; 2Spec 68) e una lunga «tentazione» di Francesco (cf. 2Cel 115; 2Spec 99). Potrebbero uscire da questo tormentato contesto biografico:
–Della vera e perfetta letizia (FF 278).
–Ufficio della Passione del Signore (FF 279-303).
–Regola bollata (FF 73a-109a), approvata da Onorio III (bolla Solet annuere, 29 novembre).
– 24-25 dicembre, a Greccio: «memoria» eucaristica del Natale del Signore (1Cel 84-87).
1224 – In data sicuramente posteriore all'approvazione della Regola bollata:
–Lettera a frate Antonio (FF 251-252: rinvio a Rb 5,2).
–Lettera a tutto l'Ordine (FF 214-233), che ai vv. 34-43 contiene rinvii alla Rb.
– Agosto-settembre: quaresima di san Michele, «nel luogo della Verna» (15 agosto-29 settembre), dove Francesco riceve le stimmate, dopo le quali scrive «di sua mano»:
–Lodi di Dio Altissimo (FF 261), «rendendo grazie a Dio del beneficio» (rubrica autografa di frate Leone);
–Benedizione a frate Leone (FF 262; per le motivazioni, cf. 2Cel 49).
– Francesco torna alla Porziuncola, limitato nell'attività apostolica dalle stimmate e dall'aggravarsi delle malattie. Se non anche la 1a redazione (FF 178/1-7), almeno la 2a redazione della Lettera ai fedeli (FF 179-206) appartiene con tutta probabilità a questi ultimi anni, visto che Francesco dichiara di voler scrivere «considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa dell'infermità e debolezza del mio corpo» (2Lf 3: FF 180).
–Cantico di frate Sole (FF 263; cf. CAss 83 e le aggiunte: Cass 84 e 7).
–Audite, poverelle dal Signore vocate (FF 263/1; cf. CAss 85).
– Passa nella valle Reatina, dove sopporta inutili terapie chirurgiche per una grave malattia d'occhi contratta in Oriente.
–Testamento di Siena (FF 132-135; cf. CAss 59).
– Francesco è trasferito successivamente alle Celle di Cortona, a Bagnara presso Nocera e quindi scortato ad Assisi, nel palazzo vescovile. All'annuncio della morte vicina, detta l'ultima lassa del Cantico.
– Settembre: probabilmente durante le ultime settimane di vita, detta l'ultimo
–Testamento (FF 110-131), «un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione» (v. 34): un testo universalmente ritenuto esemplare per la spiritualità e lo stile di Francesco, ma che deve essere ritenuto tale anche per la fedeltà alla Chiesa e alla Regola professata (cf. 2Test 38-39: FF 130).
– «Poco prima della sua morte» invia l'Ultima volontà (FF 140) per le «signore povere», di San Damiano (cf. RsC 6,6- 9; TestsC 33), e fa scrivere la Lettera a donna Jacopa (cf. Actus, XVIII).
– 3 ottobre: Francesco muore alla Porziuncola, la sera del sabato 3 ottobre (dopo il tramonto: secondo il computo liturgico medievale, il 4 ottobre). Il giorno dopo la salma viene tumulata in Assisi, nella chiesa di San Giorgio (ora inglobata nella basilica di Santa Chiara), dove «fanciullino aveva imparato a leggere e dove in seguito per la prima volta aveva predicato» (LegM 15,5).
– 30 maggio: Giovanni Parenti è eletto ministro generale dell'Ordine.
– 17 settembre: Chiara ottiene da Gregorio IX il Privilegium paupertatis per il monastero di San Damiano in Assisi.
– 28 settembre: interpellato da una commissione di frati, Gregorio IX promulga la Quo elongati, che nega valore giuridico al Testamento di Francesco e dirime alcuni punti dubbi in merito all'interpretazione della Regola.
– Tommaso da Celano redige il Memoriale nel desiderio dell'anima, o Vita seconda (2Cel), approvato dal capitolo generale.
– 18 agosto: Innocenzo IV promulga una «forma di vita» per i monasteri femminili dell'Ordine di San Damiano.
– 9 agosto: Innocenzo IV conferma la Regola di Chiara, per il monastero di San Damiano in Assisi.
– 11 agosto: Chiara muore a San Damiano.
– 18 ottobre: Innocenzo IV chiede l'apertura del processo di canonizzazione di Chiara.
Regola del Serafico Padre San Francesco
Bolla del Papa Onorio III
Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli, frate Francesco e agli altri frati dell’Ordine dei frati minori, salute e apostolica benedizione. La Sede Apostolica suole accondiscendere ai pii voti e accordare benevolo favore agli onesti desideri dei richiedenti. Pertanto, diletti figli nel Signore, noi, accogliendo le vostre pie suppliche, vi confermiamo con l’autorità apostolica, la Regola del vostro Ordine, approvata dal nostro predecessore papa Innocenzo, di buona memoria e qui trascritta, e l’avvaloriamo con il patrocinio del presente scritto.
LA REGOLA è questa:
I: Nel Nome del Signore incomincia la vita dei frati minori
II: Di coloro che vogliono intraprendere questa vita e come devono essere ricevuti
III: Del Divino Ufficio e del digiuno, e come i frati debbano andare per il mondo
IV: Che i frati non ricevano denari
V: Del modo di lavorare
VI: Che i frati di niente si approprino, e del chiedere l’elemosina e dei frati infermi
VII: Della penitenza da imporre ai frati che peccano
VIII: Della elezione del Ministro Generale di questa Fraternita’ e del Capitolo di Pentecoste
IX: Dei predicatori
X: Dell’ammonizione e della correzione dei frati
XI: Che i frati non entrino nei monasteri delle monache
XII: Di coloro che vanno tra i saraceni e tra gli altri infedeli
Termina la Regola e Vita dei Frati Minori.
Conferma della REGOLA
Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Laterano, il 29 novembre, anno ottavo del nostro Pontificato (1223).
LE AMMONIZIONI DI SAN FRANCESCO
[141] Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto". Gli dice
Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: " Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto?
Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio".
Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio. Perciò non può essere visto che nello spirito, poiché è lo spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla. Ma anche il Figlio, in ciò per cui è uguale al Padre, non può essere visto da alcuno in maniera diversa dal Padre e in maniera diversa dallo Spirito Santo.
[142] Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tutti quelli che vedono il sacramento, che viene
santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché è l'Altissimo stesso che ne dà testimonianza, quando dice: " Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza [che sarà sparso per molti"], e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna".
[143] Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e il sangue del Signore. Tutti gli altri, che non partecipano dello stesso Spirito e presumono ricevere il santissimo corpo e sangue del Signore, mangiano e bevono la loro condanna. Perciò: Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore? Perché non conoscete la verità e non credete nel Figlio di Dio?
[144] Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E
come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello spirito, credevano che egli
era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero.
[145] E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice: " Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo".
[146] Disse il Signore a Adamo: " Mangia pure i frutti di qualunque albero, ma dell'albero della scienza del bene e del male non ne mangiare". Adamo poteva dunque mangiare i frutti di qualunque albero del Paradiso; egli, finché non
contravvenne all'obbedienza non peccò.
[147] Mangia, infatti dell'albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui; e così, per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, è diventato per lui il
frutto della scienza del male. Bisogna perciò che ne sopporti la pena.
[148] Dice il Signore nel Vangelo: " chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo", e " Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà".
Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che sottomette totalmente se stesso all'obbedienza nelle mani del suo superiore. E qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza.
[149] E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il superiore, volentieri sacrifichi a Dio le sue e cerchi invece di adempiere con l'opera quelle del superiore. Infatti questa è l'obbedienza caritativa, perché compiace a Dio ed al prossimo.
[150] Se poi il superiore comanda al suddito qualcosa contro la sua coscienza, pur non obbedendogli, tuttavia non lo abbandoni. E se per questo dovrà sostenere persecuzione da parte di alcuni, li ami di più per amore di Dio. Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua anima per i suoi fratelli.
[151] Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al vomito della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi.
[152] Dice il Signore: " Non sono venuto per essere servito ma per servire". Coloro che sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell'ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all'ufficio di lavare i piedi ai
fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la carica che se fosse loro tolto il servizio di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un tesoro fraudolento a pericolo della loro anima.
[153] Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito.
[154] E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?
Infatti se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e da saper interpretare tutte le lingue e acutamente per scrutare le cose celesti, in tutto questo non potesti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia esistito qualcuno che ricevette dal Signore una speciale cognizione della somma sapienza.
Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.
[155] Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l'hanno seguito nella tribolazione e persecuzione nell'ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle.
[156] Dice l'apostolo: "La lettera uccide, lo spirito invece dà vita". Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri e potere acquistare grandi ricchezze e darle ai parenti e agli amici.
Così pure sono morti a causa della lettera, quei religiosi che non vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura, ma piuttosto bramano sapere le sole parole e spiegarle agli altri. E sono vivificati dallo spirito della divina Scrittura coloro che ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non l'attribuiscono al proprio io, ma la restituiscono con la parola e con l'esempio all'altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene.
[157] Dice l'apostolo: "Nessuno può dire: Signore Gesù se non nello Spirito Santo", e ancora: "Non c'è chi fa il bene, non ce n'è neppure uno".
Perciò, chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene.
[158] Dice il Signore: "Amate i vostri nemici [e fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano]". Infatti, veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l'ingiuria che quegli gli fa,
ma brucia nel suo intimo, per l'amore di Dio, a motivo del peccato dell'anima di lui. E gli dimostri con le opere il suo amore.
[159] Ci sono molti che, quando peccano o ricevono un'ingiuria, spesso incolpano il nemico o il prossimo. Ma non è così, poiché ognuno ha in suo potere il nemico, cioè il corpo, per mezzo del quale pecca. Perciò e beato quel servo che terrà sempre prigioniero un tale nemico affidato in suo potere e sapientemente si custodirà dal medesimo; poiché, finché si comporterà così, nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà nuocere.
[160] Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per se
come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira ne si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non gli rimane nulla per sé.
[161] A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo spirito del Signore: se, quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua "carne" non se ne inorgoglisce - poiché la "carne" è sempre contraria ad ogni bene - ma piuttosto si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini.
[162] Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.
Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non più.
[163] Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli.
Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono nella guancia.
[164] Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio.
Sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l'amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo.
[165] Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio.
Veramente puri di cuore sono coloro che disdegnano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro.
[166] Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l'uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio.
[167] Beato l'uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile.
[168] Beato il servo che restituisce tutti i suoi beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio, e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere.
[169] Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l'uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Guai a quel religioso, che è posto dagli altri in alto e per sua volontà non vuol discendere. E beato quel servo, che non viene posto in alto di sua volontà e sempre desidera mettersi sotto i piedi degli altri.
[170] Beato quel religioso che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all'amore di Dio con gaudio e letizia. Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e frivole e con esse conduce gli uomini al riso.
[171] Beato il servo che, quando parla, non manifesta tutte le sue cose, con la speranza di una mercede, e non è veloce a parlare, ma sapientemente pondera di che parlare e come rispondere. Guai a quel religioso che non custodisce nel suo cuore i beni che il Signore gli mostra e non li manifesta agli altri nelle opere, ma piuttosto, con la speranza di una mercede, brama manifestarli agli uomini a parole. Questi riceve già la sua mercede e chi ascolta ne riporta poco frutto.
[172] Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da un altro la correzione, l'accusa e il rimprovero, come se li facesse a sé. Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è veloce a scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un peccato, sebbene non abbia commesso colpa.
[173] Beato il servo che viene trovato così umile tra i suoi sudditi come quando fosse tra i suoi padroni. Beato il servo che si mantiene sempre sotto la verga della correzione. E' servo fedele e prudente colui che di tutti i suoi peccati non tarda a punirsi, interiormente per mezzo della contrizione ed esteriormente con la confessione e con opere di riparazione.
[174] Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può ricambiargli il servizio, quanto l'ama quando è sano, e può ricambiarglielo.
[175] Beato il servo che tanto amerebbe e temerebbe un suo fratello quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui, e non direbbe dietro le sue spalle niente che con carità non possa dire in sua presenza.
[176] Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo le norme della Chiesa romana. E guai a coloro che li disprezzano. Quand'anche infatti siano peccatori , tuttavia nessuno li deve giudicare, poiché il Signore esplicitamente ha riservato solo a se stesso il diritto di giudicarli.
Invero, quanto più grande è il ministero che essi svolgono del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo che proprio essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri, tanto maggiore peccato commettono coloro che peccano contro di essi, che se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo mondo.
[177] Dove è amore e sapienza, ivi non è timore né ignoranza.
Dove è pazienza e umiltà, ivi non è ira né turbamento.
Dove è povertà con letizia, ivi non è cupidigia né avarizia.
Dove è quiete e meditazione, ivi non è affanno né dissipazione.
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa, ivi il nemico non può trovare via d'entrata.
Dove è misericordia e discrezione, ivi non è superfluità né durezza.
[178] Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà.
Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore.
Il grande Testamento scritto nel Settembre del 1226.
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Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo.
E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.
E il Signore mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi.
E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri.
E questi santissimi misteri sopra ogni cosa voglio che siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
E dovunque troverò i nomi santissimi e le sue parole scritte in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in un luogo decoroso.
E dobbiamo onorare e rispettare tutti i teologi e coloro che annunciano la divina parola, così come coloro che ci danno lo spirito e la vita.
E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere e il signor Papa me lo confermò.
E quelli che venivano per ricevere questa vita, davano ai poveri tutte quelle cose che potevano avere; ed erano contenti di una sola tonaca rappezzata dentro e fuori, quelli che volevano, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.
E dicevamo l’ufficio, i chierici come gli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; a assai volentieri rimanevamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e soggetti a tutti. E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare, e tutti gli altri frati voglio che lavorino di lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore chiedendo l’elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace.
Si guardino i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non siano come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.
Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, ovunque sono, non osino chiedere lettera alcuna nella curia romana direttamente o per mezzo di interposta persona, né per le chiese, né per altri luoghi, né per motivo della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi, ma, dove non saranno ricevuti, fuggano in altra terra a far penitenza con la benedizione di Dio.
E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di darmi. E così io voglio essere schiavo nelle sue mani che non possa andare e fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, poiché egli è mio signore. E sebbene sia semplice ed infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico che mi reciti l’ufficio, così come è detto nella Regola.
E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire così ai loro guardiani e a recitare l’ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non recitano l’ufficio secondo la Regola o volessero comunque variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, appena trovato uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E il custodia sia tenuto fermamente per obbedienza, a custodirlo severamente come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano, finché personalmente lo consegni nelle mani del suo ministro.
E il ministro sia tenuto fermamente per obbedienza a farlo scortare per mezzo di frati che lo custodiscano giorno e notte come un prigioniero, finché non lo consegnino al cardinale di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.
E non stiano a dire i frati che questa è un’altra Regola; poiché questa è un ricordo, un’ammonizione, una esortazione e il mio testamento che io frate Francesco poverello faccio a voi, fratelli miei benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi per obbedienza siano tenuti a non aggiungere e a non togliere niente a queste parole.
E sempre tengano con sé questo scritto insieme con la Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole. E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente per obbedienza che non aggiungano spiegazioni alla Regola e a queste parole dicendo: Così si devono intendere; ma come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere la Regola e queste parole con semplicità e purezza, così semplicemente e senza commento dovete comprenderle e santamente osservarle sino alla fine.
E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ripieno della benedizione del diletto Figlio suo col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. Ed io, frate Francesco, il più piccolo dei frati, vostro servo, come posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen.
PICCOLO TESTAMENTO
(Siena, aprile-maggio 1226)
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«Scrivi che benedico tutti i miei frati che sono ora nell'Ordine e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo. 2 Siccome non posso parlare a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre esortazioni.
Cioé: in segno di ricordo della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino tra loro,
sempre amino ed osservino la nostra signora la santa povertà,
e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa».
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