il Ven. Servo di Dio P. Giuseppe M. Cesa.
P. M. Giuseppe M. Cesa (Flaviano) nome di battessimo, nato il 6 Ottobre 1686 e morto con fama di santità e miracoli, il 9 Giugno 1744. la sua patria fu Avellino, i suoi genitori, Antonio e Colonna Mallardo, erano braccianti e prestavano il loro duro lavoro nei campi, tirando a stento la loro famiglia con una numerosa figlionanza. Erano ricchi in cambio di virtù e timorati di Dio, e perciò misero ogni impegno per trasfondere nell'animo dei figli tutto il tesoro spirituale che essi racchiudevano.
Fu un figlio del popolo, di questo nostro popolo meridionale così generoso e così fecondo di anime grandi e di forti intelletti .
E così il piccolo Flaviano, con l'animo pieno di Dio, irrobustito presto alla Mensa Eucaristica, alla quale spesso si accostava con angelico fervore e con edificante pietà e sotto la guida specialmente della mamma, andava incontro all'avvenire che già appariva illuminato dalla luce radiosa di Dio. Flaviano con l'aiuto del generoso benefattore, potette così continuare gli studi. Serio, modesto, col volto illuminato dal raggio della bontà e dell'intelligenza, il nostro giovanetto era di ammirazione ai concittadini e di esempio ai compagni, ai quali spesso insegnava a compitare e a scrivere e, più spesso ancora, salendo su di una sedia o su di un banco, teneva loro delle prediche. E non solo in scuola, ma dovunque se ne fosse presentata l'occasione, si metteva su di un rialto, alle volte anche su di un albero, se si fosse trovato in aperta campagna, e di là, parlava di Dio.
Forse ripeteva qualche squarcio di predica sentita, forse inveiva contro la bestemmia o qualche altro vizio che più gli ripugnava, egli predicava con fervore, convinto della sua missione futura come egli stesso più volte diceva: «IO SARÒ UN GIORNO UN GRANDE PREDICATORE».
Parole che, a distanza di molti anni, quando egli sarà l'Apostolo dell'Irpinia, si illumineranno della luce di un vaticinio.
È stato scritto che dopo il Battesimo, la grazia grande che Dio possa fare all'uomo, è la grazia della vocazione Religiosa. Flaviano sentì anch'egli un giorno, dopo aver terminato gli studi di grammatica e umanità, rispose a questa divina chiamata e alla Voce di Dio, rispose pronto, con tutto l'ardore i suoi diciotto anni e della sua anima già incamminata sui sentieri del cielo. In Avellino, i frati Minori Conventuali avevano un convento dove, tra gli altri religiosi, vi era uno zio materno del nostro giovine: il P. M. Bernardino Maliardo.
Non andiamo perciò molto lontano dal vero, se pensiamo che egli frequentasse il Convento, e che anzi anch'egli, come tanti altri suoi concittadini, ricevesse lezioni dallo zio che aveva aperto nel Convento, per giovani ecclesiastici e secolari, una scuola di rettorica e filosofia.
Le relazioni con i religiosi preparano meravigliosamente il cuore di Flaviano, e perciò, non appena sentì il dolce invito del Signore, lo manifestò subito allo zio che ascoltò con profonda gioia, e poco dopo, si interessò per farlo ammettere nell'Ordine suo dei Frati Minori Conventuali. E così, dopo aver ottenuto la benedizione dei genitori, e dopo aver preparato tutto l'occorrente, che gli fu regalato dalla sorella Anna, si presentò, accompagnato dallo zio, al Ministro Provinciale nel Convento di S. Lorenzo Maggiore di Napoli, e fu accettato all'Ordine.
Il 19 Luglio 1704 Flaviano col nome di Fra Giuseppe Maria, cominciò il Noviziato nello stesso Convento di S Lorenzo Maggiore.
La Provincia regolare di Napoli risplendeva in quel tempo, per una meravigliosa fioritura di religiosi di grandi virtù.
Il Convento di S. Franceso a Folloni di Montella accolse tra le sue mura, subito dopo la professione religiosa, il nostro F. Giuseppe che vi fu assegnato per continuare gli studi. Prima però di recarvisi, sostò per pochi giorni in Avellino per salutare i parenti. Quando poi dovette rimettersi in viaggio per raggiungere la residenza assegnatagli, si trovò di fronte a una fortissima opposizione da parte dei parenti e di amici. E non a torto, perché abbondanti nevicate avevano, in quei giorni, sepolto le strade, e la lunga aspra e faticosa via che conduceva a Montella, presentava particolari difficoltà, perché si snodava tutta attraverso alti monti. Il viaggio era perciò sconsigliabile, e intraprenderlo, era segno di temerarietà non comune, perché c'era il pericolo di perdere la direzione, di scivolare in qualche burrone, di essere sorpreso dalle tenebre in qualche bosco e anche di imbattersi nei lupi.
Ma così non la pensava il giovane professo. Egli aveva appreso che bisogna obbedire ciecamente, e obbedì. Si rimise in cammino, ma dopo un'estenuante giornata di viaggio, arrivò che era buio nel bosco di Montella. La neve aveva cancellato ogni traccia di strada, ed egli non sapeva più che direzione prendere. Fu impossibile procedere oltre. Poco distante intravide un edificio; era una cappella diruta, ed egli vi si rifugiò, passandovi la notte.
AI mattino seguente, intirizzito dal freddo e tutto bagnato, si rimise in viaggio e raggiunse il convento senza risentire alcun danno, o, come egli stesso disse un giorno al medico D. Modestino Iandolo: «Senza contrarre nemmeno un piccolo raffreddore ».
L'obbedienza e la Vergine Immacolata, alla quale si era raccomandato, lo avevano protetto nel pericolo.
Terminati gli studi, F. Giuseppe, spiritualmente e intellettualmente preparato, ascese agli Ordini Sacri. Nel 1708 riceveva il Suddiaconato, nell'anno seguente il Diaconato e nel 1710 con un fremito di commozione, ascendeva per la prima volta l'Altare per immolarvi la Vittima Divina. .
I Superiori, che con compiacenza e con grandi speranze, avevano seguito il corso dei suoi studi, e ne apprezzavano grandemente le doti di mente e di cuore, avevano designato di far di lui un Maestro di scienze sacre, e lo destinarono perciò agli studi Universitari, perché conseguisse la laurea in Sacra Teologia.
Per altri tre anni P. Giuseppe, chino sui libri, attenderà allo studio, preparandosi così sempre meglio, per l'alta sua missione di Sacerdote Francescano e di Maestro.
La carità è l'essenza della perfezione. Essa è il fondamento della vita spirituale senza cui è impossibile piacere a Dio. Amare molto, amare con generosità e intensità e principalmente amare con amore puro e disinteressato; ecco il segreto mediante il quale i Santi costruiscono l'ammirabile edificio della loro vita interiore.
Il P. Cesa aveva nel cuore questa divina carità che tutto lo infiammava e traluceva dal suo portamento, dalla sua attività, dalle sue parole che scuotevano gli animi e li accendevano di santo fervore.
Parlare e trattare con lui, asserisce un testimonio, era lo stesso che riempirsi di amore e di santo timore di Dio.
L'8 Dicembre del 1854 quando Pio IX, Terziario francescano, dall'alto della Cattedra di Pietro proclamò Domma di Fede la verità della dottrina da Essi sostenuta, dell'Immacolata concezione, fu la giornata che segnò per sempre il loro trionfo e la loro gloria.
Anche il nostro Servo di Dio fu un valoroso soldato di questo grande esercito Francescano, un vero Cavaliere dell'Immacolata, che, ora con la parola, ora con l'esempio e ora con la voce potente dei prodigi, suscitò uno stuolo immenso di anime che amarono ed onorarono Maria.
Nel momento stesso che veniva investito del Magistero dell'Ordine, giurò di difendere col sangue l'Immacolata Concezione e fin d'allora mise al servizio di Lei il cuore, l'intelligenza e tutte le energie di cui era capace il suo animo di figlio innamorato. E a noi piace chiamarlo, cosi come Egli chiamava il suo antico confratello S. Bernardino da Siena: «l'innamorato della Mamma», perché non solo invocava Maria col dolce nome di «Mamma», ma come un figlio La onorava e procurava che altri La amassero e La onorassero.
Ne recitava ogni giorno il «Piccolo Ufficio» e diceva meritarsi il bel titolo di «Cappellano della Mamma» chi La onorava con questa pia pratica. La salutava tutte le volte che l'orologio batteva le ore, con una Ave Maria e con la giaculatoria: «Sia benedetta la santa e purissima Concezione della Beatissima Vergine Maria»; dormiva sempre con una immagine di Lei sul petto e ammirava e imitava quei Santi che ne erano stati particolarmente devoti.
Il P. Cesa aveva perciò bisogno di un energico richiamo, per comprendere il suo stato e la china pericolosa in cui si metteva. E la Provvidenza si servì di una congiura ordita contro di lui.
Un giorno infatti, probabilmente del 1728 ed egli era Superiore del Convento, tre persone tramarono contro la sua vita. Strozzarlo o avvelenarlo? Dopo molti scambi di idee, decisero che uno di essi, penetrando di notte mediante chiavi false nel suo appartamento, lo avrebbe strozzato mentre dormiva. Il veleno fu scelto come arma di riserva .
Ma alla vigilia dell'esecuzione, il sicario che già era in possesso delle chiavi dell'appartamento, tocco dalla grazia di Dio, ebbe orrore di quello che avrebbe dovuto fare e rigettando con tutta la forza dell'animo l'infame disegno, si recò dal P. Cesa e con le lacrime agli occhi, gli si inginocchiò davanti, gli svelò la scellerata congiura e gli chiese perdono.
A tale rivelazione, un senso di terrore s'impadronì di lui e gli si ghiacciò il sangue nelle vene, ma gli si aprirono gli occhi. Era stato quello il colpo magistrale della Grazia, ed egli l'accusò con grande umiltà e amore!
Perdonò di cuore ai congiurati, sebbene uno solo gli avesse chiesto perdono, e non svelò a nessuno la diabolica trama, ma per premunirsi dal veleno, pregò il converso Fra Antonio Imperato di Barra (Napoli) - che a norma delle Costituzioni dell'Ordine, gli era stato assegnato per compagno - di non fidarsi di nessuno.
Il p. Cesa, dalla vita austera e di adorazione, umile e risplendente di carità, era l'Apostolo adatto a far rifiorire meravigliosamente lo spirito del Cristo in coloro che lo avrebbero avvicinato.
Avellino, Montefalcone, Ariano, S. Bartolomeo in Galdo, Roseto, S. Giorgio, Foiano, Ginestra, Mirabella, Pietrastornina, Pietracastagnara, Castelfranco... furono i paesi fortunati nei quali la sua parola, semplice e ardente, operò meraviglie divine.
Prima della conversione aveva parola dotta, linguaggio fiorito e ricercato; ma dopo lasciò da parte qualunque artificio oratorio e, intento solo a farsi comprendere dal popolo e a riformare i costumi, usò un parlare semplice, limpido, riboccante di amore, di amabilità e anche di fortezza, poi ché quando c'era da correggere qualche vizio o togliere degli abusi, quando il popolo doveva essere raddrizzato nella via del Signore, il P. Giuseppe si trasformava, lo zelo della gloria di Dio e della salute delle anime lo investiva, ed egli, così umile, così silenzioso e amabile, diventava un leone ruggente che incuteva timore.
Le aspre penitenze, le infermità, lo studio e I continui lavori apostolici, avevano fiaccato la fibra el p. Cesa.
Sorella morte si avvicinava, ed egli vi andava incontro con l'animo dei santi, che aspirano al cielo come alla loro vera Patria.
La Vergine Immacolata l'avvertì del giorno del trapasso ed egli che, durante tutta la vita, avrebbe: predetto di sperare «nella misericordia di Dio, nei meriti della santissima Passione di Gesù Cristo e della Vergine Santissima.
PREGHIERA
PER LA GLORIFICAZIONE DEL VENERABILE GIUSEPPE MARIA CESA
O Dio,
nella tua infinta e paterna misericordia guidasti il Sacerdote e francescano GIUSEPPE MARIA CESA
ad una perfetta e diuturna Riparazione, stella polare della sua Conversione, e lo arricchisti di singolare zelo per la salvezza delle anime,
sorretto da intenso amore per l'Eucarestia e per l'Immacolata,
Ti prego di volerlo glorificare anche in terra, e donami la grazia...
che imploro dalla tua infinita bontà e misericordia. Amen!
Pater, Ave, Gloria.